Sempre Malissa Clark sottolinea la connessione tra il workaholism e lo stress causato dal lavoro e tra la difficoltà a trovare un equilibrio tra vita personale e lavorativa e la sindrome di Burnout.
La dipendenza da lavoro è ancora molto sottovalutata nell’ambito del disagio psicologico e non è ancora stato individuato un trattamento specifico. Solitamente i primi segnali del disturbo vengono ignorati dalla persona, o affrontati in maniera episodica su base farmacologica. Spesso si richiede aiuto in una fase molto avanzata del disturbo, quando iniziano a comparire sintomi psicosomatici o psichiatrici gravi. Lo strumento più efficace per contrastare e limitare condotte patologiche come la dipendenza da lavoro è la prevenzione. La scuola potrebbe rappresentare un efficace strumento di prevenzione, informando i giovani: bisogna prevenire informando sull’esistenza del workaholism e far sì che l’informazione si estenda anche alle famiglie.
Ma la prevenzione è fondamentale anche e soprattutto nel contesto lavorativo, dove è auspicabile che si organizzino corsi di formazione atti a sensibilizzare lavoratori e dirigenti, non solo su tematiche più note (come stress lavoro-correlato, mobbing e burnout) ma anche sul fenomeno del workaholism e sulle conseguenze dannose che ha, sia sul benessere psicofisico di chi ne è affetto sia sul contesto lavorativo in cui è inserito. Potrebbe essere utile informare circa l’esistenza di questionari di autovalutazione come il Work Addiction Risk Test (WART), messo a punto da Robinson, che è il più utilizzato e facile da reperire sul web, al quale sottoporsi o far sottoporre colleghi o parenti in presenza di campanelli d’allarme, per comprendere se si è in qualche modo a rischio dipendenza da lavoro o a quale livello del disturbo si è già arrivati.