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Workaholism: sintomi e conseguenze della dipendenza dal lavoro

07 Gen 2023

Il termine workaholism (dipendenza dal lavoro) è stato introdotto dallo psicologo Wayne Oates che nel libro “Confessions of a workaholic: the facts about work addiction“, pubblicato nel 1971, l’ha utilizzato per descrivere «la compulsione o il bisogno incontrollabile di lavorare incessantemente». Per poter parlare di dipendenza dal lavoro è necessaria la compresenza in simultanea di comportamenti lavorativi tendenti all’eccesso e di una spinta interiore (compulsione) che guida l’individuo verso tali eccessi.

Associato a questo termine c’è il vocabolo workaholic, usato per riferirsi al soggetto che presenta questo tipo di atteggiamento, ovvero qualcuno che pensa continuamente al proprio lavoro e alle mansioni da svolgere.

Malissa A. Clark, professore associato di Psicologia e direttrice del laboratorio “Work and Family Experience Research” dell’Università della Georgia, ha fatto riferimento ad alcune caratteristiche o tendenze che di solito accomunano gli individui detti “workaholic“. Tra queste è possibile menzionare la sensazione di essere costretti a lavorare, causata da una forte pulsione o da tensioni (interne) avvertite dagli individui, da un numero di ore di lavoro significativamente superiore a quanto effettivamente richiesto o dalle reali necessità economiche. Infine, questi individui tendono ad avere abitudini di lavoro eccessive, trascurando le eventuali conseguenze negative che esse possono avere sui rapporti familiari e interpersonali e persino sulla propria salute.

Come suggerito da McMillan e O’Discroll, la dipendenza da lavoro è un fenomeno di origine multifattoriale da analizzare in un contesto multidisciplinare, ed è improbabile che scaturisca da un unico fattore o che possa essere spiegato da una sola teoria. Molto probabilmente, la grande diffusione di tale fenomeno nell’ultimo decennio è strettamente collegata a due fattori legati ai recenti mutamenti culturali, sociali economici e tecnologici. In primo luogo, i moderni strumenti tecnologici quali smartphone e tablet, assieme alla generale possibilità di utilizzare internet e leggere e-mail in qualsiasi momento, hanno permesso ai lavoratori di operare ovunque 24h su 24, anche nel week end e in vacanza, allungando i tempi del lavoro e annullando sempre di più i momenti di reale stacco da esso. In secondo luogo, un mercato del lavoro instabile e precario come quello odierno, caratterizzato da forme contrattuali sempre meno standard, ha generato una diffusa insicurezza lavorativa, specialmente tra i più giovani, che spinge gli individui a lavorare sempre più intensamente, con impegno e competizione, sacrificando la vita privata e gli affetti nella speranza di guadagnarsi una posizione lavorativa stabile.

La dipendenza dal lavoro, a differenza delle dipendenze che coinvolgono alcol o altre sostanze, viene premiata dalla nostra cultura (con promozioni, bonus, lodi, riconoscimenti e così via) ed è quindi considerata una buona cosa. L’impegno e la dedizione al lavoro sono valori fondamentali e positivi nella vita dell’individuo, perciò andrebbero sempre e comunque incoraggiati: è auspicabile, tuttavia, nel momento storico in cui viviamo, fatto di “tecno-stress” e precarietà, che si stimoli una profonda riflessione etica del lavoro, in grado di riconoscere come primario il valore della qualità della propria esistenza, più che il valore economico che la nostra esistenza può produrre.

Pochi di noi in realtà considerano il costo del workaholism, ma è dimostrato che:

  • Danneggia la salute fisica ed emotiva
  • Porta a 120.000 morti all’anno
  • Raddoppia il rischio di depressione e ansia
  • Riduce la tua produttività e diminuisce le prestazioni
  • Aumenta i problemi di sonno che riducono ulteriormente la produttività e le prestazioni
  • Riduce la tua capacità di attenzione
  • Ha un impatto negativo su tutti coloro che ci circondano, danneggiando il lavoro, le relazioni sociali, nonché la salute della propria famiglia.

Sempre Malissa Clark sottolinea la connessione tra il workaholism e lo stress causato dal lavoro e tra la difficoltà a trovare un equilibrio tra vita personale e lavorativa e la sindrome di Burnout.

La dipendenza da lavoro è ancora molto sottovalutata nell’ambito del disagio psicologico e non è ancora stato individuato un trattamento specifico. Solitamente i primi segnali del disturbo vengono ignorati dalla persona, o affrontati in maniera episodica su base farmacologica. Spesso si richiede aiuto in una fase molto avanzata del disturbo, quando iniziano a comparire sintomi psicosomatici o psichiatrici gravi. Lo strumento più efficace per contrastare e limitare condotte patologiche come la dipendenza da lavoro è la prevenzione. La scuola potrebbe rappresentare un efficace strumento di prevenzione, informando i giovani: bisogna prevenire informando sull’esistenza del workaholism e far sì che l’informazione si estenda anche alle famiglie.

Ma la prevenzione è fondamentale anche e soprattutto nel contesto lavorativo, dove è auspicabile che si organizzino corsi di formazione atti a sensibilizzare lavoratori e dirigenti, non solo su tematiche più note (come stress lavoro-correlato, mobbing e burnout) ma anche sul fenomeno del workaholism e sulle conseguenze dannose che ha, sia sul benessere psicofisico di chi ne è affetto sia sul contesto lavorativo in cui è inserito. Potrebbe essere utile informare circa l’esistenza di questionari di autovalutazione come il Work Addiction Risk Test (WART), messo a punto da Robinson, che è il più utilizzato e facile da reperire sul web, al quale sottoporsi o far sottoporre colleghi o parenti in presenza di campanelli d’allarme, per comprendere se si è in qualche modo a rischio dipendenza da lavoro o a quale livello del disturbo si è già arrivati.

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